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Comunicare il Lutto come fattore culturale di sviluppo.

Comunicazione, crescita e stereotipi.

Il covid-19 ha provocato più di un milione di morti, almeno quelli registrati, la maggior pare dei quali in paesi sviluppati. Un dato che va contro una tendenza a lungo consolidata. 

Paradossalmente in occidente la pandemia sta minacciando il settore tradizionale dei servizi funerari.

La pandemia sta inducendo le persone che vivono nei Paesi sviluppati ad adottare approcci aperti e pragmatici alla morte, una cosa meno insolita nei paesi in via di sviluppo dove, a causa di povertà, sanità scadente, strade pericolose e conflitti armati le persone sono più a stretto contatto con la morte.

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D’altro canto in Occidente molte persone temono ospedali e case di riposo per paura di essere contagiate dal virus o di contribuire a mandare in sofferenza i servizi sanitari. A causa delle regole rigide sulle visite ai propri cari molti pazienti sono riluttanti a trascorrere gli ultimi giorni in istituti.

Culture differenti:

Gli acholi dell’Uganda settentrionale non si sforzano affatto di tenere il lutto fuori dalla vista: gli anziani del villaggio si incontrano per parlare del sostegno alle famiglie e le lapidi degli antenati sepolte nei terreni di famiglia sono importanti indicazioni di proprietà. In effetti, un motivo per cui è difficile contare i decessi provocati dal covid-19 nei paesi poveri è che molte vittime muoiono nelle loro case.

Con l’aumento dei redditi, in Uganda settentrionale le famiglie hanno iniziato a rivolgersi a servizi funebri professionali perché facessero tutto al posto loro, stampando in alcuni casi delle t-shirt con il volto del defunto.

Paradossalmente in alcune parti del mondo in via di sviluppo il covid-19 potrebbe portare a una svolta in senso secolare: in Medio Oriente i luoghi di culto sono stati evitati perché focolai di contagio. Il lutto è stato trasferito online, dove le autorità religiose arrivano con minore facilità. In Iran c’è talmente tanta rabbia contro i religiosi al potere per la gestione raffazzonata della pandemia che le persone in lutto adesso postano poesie invece che versetti sacri.

I risvolti economici oggi:

A peggiorare le cose per le imprese di pompe funebri c’è il divieto di assembramento. I familiari stanno posticipando le commemorazioni, e le agenzie, in alcuni Paesi più sviluppati, hanno iniziato a offrire delle opzioni in streaming, che però riducono le liste degli ospiti dal vivo.

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Questa tendenza potrebbe proseguire anche quando il virus sarà passato: le persone a lutto che non sono particolarmente religiose di solito optano per cerimonie più semplici e la quantità di americani per i quali avere un funerale religioso è molto importante è scesa dal 50 per cento del 2012 al 35 per cento del 2019.

Se effettivamente il covid-19 stesse costringendo le persone del mondo ricco a iniziare a pensare e a parlare del Lutto in modi più aperti e pratici, sarebbe riuscito in un’impresa con cui medici, avvocati, impresari di pompe funebri e psicologi sono alle prese da decenni.

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Se n’è andato Gigi Proietti, quindi.

“ Son contento di morire ma mi dispiace

Mi dispiace di morire ma son contento ”

(Ho detto al sole, Ettore Petrolini)

Se n’è andato un attore popolare, e «popolare» non soltanto per «famoso», ma per quella speciale vocazione a parlare direttamente al proprio pubblico, con pochi filtri, se non quello del corpo elegante e della voce inconfondibile. A Piene forze in One man show di Rai1 e nella sua indimenticabile carrellata di sketch ispirati al cabaret, ma non solo. Un esempio su tutti: quello della telefonata in cui il protagonista cerca di proteggersi dal turbinio di parole che giunge dall’altra parte della cornetta, senza riuscire a portare a termine una sola frase. Un rovesciamento, quindi: l’attore coinvolge non per quello che dice al telefono, ma per quello che non dice e che riesce a malapena a farfugliare.

Pippo Baudo: “Un attore totale, patrimonio di tutti” – “E’ stato un grande artista, un grande amico, un grande maestro: è stato tutto, un attore totale, enorme, di una grandiosità pazzesca”. Nella commozione Pippo Baudo: “Raccoglieva tutto il massimo che un artista può avere: cantava, ballava, raccontava bene, sapeva coniugare il classico e il leggero.

Carlo Verdone: “Autorevolezza, cultura, generosità e umiltà. Questo era Gigi Proietti”.

Rimane l’eredità di uno stile personale così semplice e pragmatico, fatto di un parlare a pubblici diversi che alla fine diventano tutti lo stesso, fatto di ponti intergenerazionali e di capacità mai rinchiudibili su un solo stesso palcoscenico. Rimane oggi l’impronta del talento trasversale, mai divisivo. Con la raffinatezza esperta di chi non ha mai avuto paura di mischiare e contaminare, se ne va il due novembre, proprio il giorno del suo ottantesimo compleanno. 

Quasi che ancora una volta, l’orchestra attacca e scese le luci, con pochi gesti e quella sua maschera malinconica sé mangiato il palcoscenico. A proposito: che grande doppiatore, anche.

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Nel giorno delle “commemorazione dei defunti” facciamo il punto sull’Industria funeraria.

Industria funeraria, business in crisi ma con sempre più domanda.

Scritto da Andrea De Francisci

Quello dell’l’industria funeraria è un Made in Italy di cui non si parla volentieri, ma in Italia è un settore produttivo a pieno titolo, che dà lavoro a 25mila occupati diretti e ad altrettanti indiretti, alle prese con gli stessi problemi di manifatturiero e servizi, tra minor poter d’acquisto degli italiani, concorrenza low-cost di prodotti del Far East, normative locali disallineate che favoriscono attività irregolari. Ma che ha di fronte anche sfide e opportunità legate a digitalizzazione e nuove mode social e 4.0 in un mercato che non conosce cali di domanda: il numero dei decessi nel nostro Paese è salito a circa 650mila unità l’anno e si parla di un business (spese cimiteriali escluse) di oltre 1,7 miliardi di euro per la filiera produttiva.

Il settore funerario conta 6mila imprese di onoranze funebri, il doppio di quelle censite 15 anni fa, che dà lavoro a 25mila persone e che crea un rilevante indotto tra marmisti, cofanisti, fioristi, ma che sta registrando un calo dei fatturati sia perché le famiglie spendono meno per onorare i defunti, tagliando non tanto i servizi quanto le forniture (cofani e urne low cost), sia perché si va diffondendo sempre più la pratica della cremazione.

Da qui arriva anche l’occasione per fare il punto sui temi caldi per il settore, a partire proprio dalla cremazione, che sta tagliando fette importanti di fatturato per tutto l’indotto (non servono marmi, fiori e neppure bare di design con legni pregiati se basta una piccola urna) e sta mettendo a repentaglio i margini delle agenzie funebri e la sopravvivenza stessa di cimiteri monumentali di grande valore artistico e storico, che non hanno più introiti sufficienti neppure per la manutenzione ordinaria. Cremare un defunto significa tagliare rilevanti spese cimiteriali per la sepoltura (dai 1.500 euro di un loculo in nona fila ai 15mila euro di una tomba di famiglia di pregio, ndr).

Restano i 2.500-3mila euro di spese vive per un funerale medio, un tempo legate soprattutto al prezzo della bara (si va dai mille euro di costo fino a 5mila euro per un Made in Italy di qualità), oggi invece più orientate ai servizi di contorno. Nel 1998 si contavano 600 aziende di cofani in Italia, un’eccellenza manifatturiera che esportava la metà dei volumi. Oggi sono rimasti una cinquantina di imprenditori nel settore, solo dieci di dimensioni industriali, che producono 350mila pezzi l’anno a fronte di quasi 650mila decessi. Ciò significa che si importano centinaia di migliaia di cofani, perlopiù dal Far East, pezzi che costano davvero pochissimo, quasi quanto un paio di scarpe.

Assieme alla cremazione spinto dalla riduzione del age gap delle nuove generazioni, sta sviluppandosi il business delle cerimonie laiche e delle case funerarie (funeral house), inesistenti fino a pochi anni fa, oggi circa 300 attive in Italia, tutte concentrate al Nord. «C’è una domanda in forte crescita di spazi laici per il commiato dove consentire a parenti e conoscenti di stare vicino al defunto prima dell’addio definitivo e c’è richiesta di nuovi servizi di tanatoprassi e imbalsamazione e di pacchetti completi “chiavi in mano”, perché la famiglia colta da un lutto vuole affrontare il trauma, non la burocrazia», conclude il segretario generale di Feniof.

E questo spiega l’istanza di nuovi corsi di formazione professionale che arriva dal settore – altro tema al centro dei tavoli di discussione di Tanexpo 2018 a Bologna – e l’esigenza di far crescere dimensionalmente, anche attraverso consorzi, il comparto delle pompe funebri. Perché al di là del business privato, queste imprese svolgono un importante ruolo sociale, soprattutto in luoghi disagiati o remoti, e per garantire un servizio di qualità occorre condividere i costi di struttura. Inoltre, altro importante fattore da considerare nella filiera è l’utilizzo di nuove tecnologie web e di comunicazione che potrebbero portare nuovi margini per l’industria ed in questo noi di SendGoodbye vogliamo essere in prima linea per sostenere la filiera di valori in modo da offrire alle imprese una nuova fonte di entrate ed al cliente finale un nuovo modo di comunicare e seguire il commiato.

Per maggiori informazioni riguardo la nostra piattaforma SendGoodbye contattateci per organizzare un appuntamento conoscitivo.

Scritto da Andrea De Francisci

Fonte: Il sole 24 ore